Il Rapporto ISPRA 2025 fotografa un Paese fragile: aumentano le aree esposte a frane e alluvioni, mentre i piani di adattamento attendono la piena attuazione
Il nuovo Rapporto ISPRA 2025 sul dissesto idrogeologico lancia un segnale chiaro: quasi tutto il territorio nazionale è esposto a fenomeni di frana o alluvione.
Il 94% dei comuni italiani presenta almeno una zona a rischio e oltre 7 milioni di persone vivono in aree vulnerabili, un dato in crescita di circa 600 mila abitanti rispetto al 2021.
Un quadro che conferma come la fragilità del suolo italiano, aggravata dagli effetti della crisi climatica, resti una delle emergenze ambientali più complesse da gestire.
Un Paese sempre più fragile
L’Italia, per caratteristiche geografiche e densità abitativa, è tra i Paesi europei più esposti al rischio idrogeologico.
Secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, la superficie classificata a pericolosità da frana o alluvione è in aumento, anche a causa di urbanizzazione incontrollata, consumo di suolo e manutenzione insufficiente dei corsi d’acqua.
Le regioni più colpite sono Campania, Toscana, Emilia-Romagna, Calabria e Lombardia.
Nelle aree montane e collinari la principale minaccia resta il rischio frana, mentre nelle pianure e nelle città a forte densità urbana aumentano i pericoli legati ad allagamenti e alluvioni improvvise.
“Si tratta di un rischio diffuso e strutturale”, commentano i tecnici ISPRA, “che richiede una pianificazione di lungo periodo e interventi mirati a ridurre l’esposizione di persone, infrastrutture e attività produttive”.
Le cause: tra clima e gestione del territorio
A determinare l’aggravarsi della situazione è una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi più frequenti e intensi, consumo di suolo e scarsa manutenzione.
Il cambiamento climatico, in particolare, amplifica gli effetti dei fenomeni naturali. Le precipitazioni intense e concentrate in poche ore, alternate a periodi di siccità, mettono a dura prova terreni e infrastrutture.
Le città faticano ad assorbire le piogge torrenziali per la scarsità di aree permeabili e la mancanza di reti di drenaggio efficienti.
Il risultato è un ciclo di emergenze ripetute: ogni anno frane, smottamenti e allagamenti provocano danni a edifici, viabilità e coltivazioni.
Le risposte istituzionali
Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e ISPRA chiedono ai comuni di accelerare sull’adozione di piani locali di adattamento climatico e sul potenziamento delle reti di monitoraggio e drenaggio urbano.
Entro la fine del 2025 entrerà nella fase operativa il PNACC – Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, che punta a integrare prevenzione, pianificazione territoriale e risorse economiche.
Tra le misure previste figurano riforestazione urbana, rinaturalizzazione dei corsi d’acqua, recupero di aree golenali e progetti di drenaggio sostenibile.
L’obiettivo è ridurre la vulnerabilità del territorio e creare una rete di città più resilienti agli eventi meteo estremi.
Prevenzione: la vera priorità
La lezione dei dati ISPRA è chiara: la prevenzione costa meno dell’emergenza.
Ogni euro investito in manutenzione del territorio, ricordano gli esperti, fa risparmiare fino a sei euro in danni e ricostruzioni.
Eppure, troppo spesso, gli interventi arrivano solo dopo le catastrofi.
La sfida per i prossimi anni sarà passare da una gestione reattiva a una strategia preventiva, capace di unire amministrazioni locali, protezione civile, cittadini e comunità scientifica.
Solo così l’Italia potrà difendere il suo territorio e la sicurezza di milioni di persone.
