In Trieste la piazza principale sembra questi mesi un palcoscenico per due storie molto diverse: una di ingegneria estrema e una di immaginario letterario. Davanti al mare, la maquette che riproduce il Piazza Unità d’Italia richiama lo sguardo dei passanti e mette subito in chiaro il tono del weekend culturale: non una città monocromatica, ma un crocevia dove tecnologia e letteratura si incontrano. La scena è concreta, visibile, e invita a spostarsi a piedi tra monumenti, musei e sale espositive per capire cosa c’è dietro quei nomi celebri.
Il batiscafo in piazza
La riproduzione del Batiscafo Trieste in mostra in centro non è solo un richiamo fotografico: racconta una vicenda tecnica e industriale che ha avuto radici locali. L’originale del 1960 è entrato nella storia per l’immersione nella Fossa delle Marianne fino a 10.916 metri, un numero che spiega perché il mezzo sia ancora oggi oggetto di attenzione tecnica e pubblica. A bordo c’erano Jacques Piccard e Don Walsh, nomi che restano associati a quell’impresa, ma il ruolo di Trieste nella costruzione e nel progetto è meno noto: fu qui che si trovò la capacità cantieristica e i finanziamenti per realizzare un prototipo così complesso.

La presenza in piazza richiama l’impatto industriale sul territorio: i lavori furono fatti nei cantieri locali tra Trieste e Monfalcone e la cabina fu forgiata in stabilimenti come le Acciaierie. È una storia di città portuale e di competenze meccaniche, e un dettaglio che molti sottovalutano è il passaggio dal progetto militare alla vocazione scientifica, favorita da figure locali come Diego de Henriquez. Intanto la copia rimarrà in esposizione prima di essere trasferita al museo cittadino che conserva il lascito storico e il contesto di quella riconversione.
Il modello in vista pubblica funziona anche come memoria industriale: chi vive in città lo nota ogni giorno come esempio di una capacità tecnica che ha saputo dialogare con la ricerca internazionale. A livello pratico, vedere il batiscafo in piazza facilita la comprensione di un’epoca in cui la tecnologia navale e l’industria locale si sono confrontate con sfide estreme.
Sulle tracce di tolkien
Accanto al richiamo tecnologico, Trieste mostra un altro volto con la grande mostra al Salone degli Incanti, dedicata a TOLKIEN. Uomo, Professore, Autore. L’allestimento propone una prospettiva composita sull’autore de Il Signore degli Anelli: non solo scrittore, ma figura accademica e personale, raccontata attraverso oggetti che restituiscono la quotidianità e le pratiche di lavoro. Tra gli oggetti più attesi c’è la toga accademica usata durante gli anni a Oxford, visibile per la prima volta in Italia, un elemento che porta lo spettatore vicino alla dimensione professionale dello studioso.
Il percorso espositivo combina manoscritti autografi, lettere e fotografie con riferimenti agli adattamenti cinematografici, creando un dialogo tra testo e immagine. Un fenomeno che in molti notano solo visitando la mostra è la quantità di materiali visivi che hanno contribuito a consolidare l’immagine pubblica dell’autore: dal film d’animazione alle grandi produzioni, il patrimonio iconografico accompagna i documenti. Inoltre, la sezione che raccoglie opere d’arte di interpreti contemporanei offre un quadro della ricezione di Tolkien nella cultura visiva e nel mondo fantasy.
La mostra è pensata per diverse fasce di pubblico: dallo studioso interessato ai manoscritti al visitatore curioso che cerca riferimenti cinematografici o illustrazioni. Un aspetto che sfugge a chi visita frettolosamente è il dettaglio curatoriale che mette in relazione i documenti privati con le prime edizioni e con il lavoro di traduzione: si capisce così come certe immagini e scelte narrative siano entrate nell’immaginario collettivo. L’insieme lascia l’impressione di una città che sa mettere a confronto memoria tecnica e patrimonio culturale, offrendo al visitatore un itinerario che parla di identità e di trasformazione locale.
