In laboratorio, a un volontario viene applicata una sonda che aumenta gradualmente la temperatura: al segnale, annota l’intensità del dolore.
Lo stesso esperimento ripetuto su più persone evidenzia un pattern che ritorna: in media, alcune categorie riportano sensazioni più intense. Non è una sentenza di fragilità, ma un quadro complesso che mescola biologia, ambiente e comportamento sociale. Qui si cerca di capire che cosa dicono le ricerche e perché la percezione del dolore varia tra le persone e, in media, tra i sessi.
Cosa raccontano gli studi sulla sensibilità
Numerose ricerche sperimentali mostrano che, in media, le donne segnalano soglie di dolore più basse rispetto a gli uomini quando vengono esposti a stimoli come pressione, calore, impulsi elettrici o soluzioni irritanti. Questo non implica una debolezza innata: piuttosto, indica differenze nel modo in cui il sistema nervoso centrale e periferico trasmette e valuta gli input nocicettivi. In molte prove cliniche la misura della tolleranza varia molto da individuo a individuo e cambia nel tempo.

Un elemento che emerge è la differenza nell’elaborazione emotiva: chi parla del dolore e chiede sostegno tende ad accettarlo meglio nella vita quotidiana. Un dettaglio che molti sottovalutano è che la socializzazione del dolore può ridurne l’impatto funzionale pur senza alterare la sensazione pura. Ecco perché test di laboratorio e vissuto quotidiano possono restituire risultati diversi.
Inoltre, la variabilità interna a ciascun sesso è ampia: storia clinica, esperienze pregresse e stato psicologico modificano risposte e segnalazioni. Per questo, gli studi parlano spesso di medie e distribuzioni, non di categorie nette: la parola chiave è variabilità, non giudizio.
Ormoni, ciclo e i meccanismi del corpo
Gli ormoni sessuali influenzano direttamente i recettori del dolore, i cosiddetti nocicettori. Il testosterone tende ad avere un effetto analgesico in molte condizioni sperimentali, mentre estrogeni e progesterone mostrano effetti più sfaccettati: a seconda della concentrazione e del contesto fisiologico possono aumentare o ridurre la sensibilità.
Le fluttuazioni del ciclo mestruale contribuiscono a variazioni sensibili nella soglia del dolore: in alcune fasi la soglia sale, in altre scende. Un ruolo interessante è attribuito a sostanze meno note al grande pubblico, come la prolattina, che può modulare la sensibilità specifica nelle femmine; negli uomini meccanismi analoghi sono stati collegati a molecole come l’orexina-B. Questi fattori spiegano perché la percezione non sia costante nemmeno nello stesso individuo.
Il corpo dispone anche di sistemi interni di controllo del dolore: il sistema oppioide endogeno, con i recettori μ-oppioidi, agisce da modulatore. Le evidenze indicano differenze di attivazione tra i sessi, che potrebbero contribuire alle medie osservate negli studi sperimentali.
Cervello, psicologia e contesto sociale
Le tecniche di neuroimaging rivelano che durante l’esperienza dolorosa si attivano reti diverse: nelle donne spesso spiccano aree legate alla sensazione e all’emozione, come insula e talamo, mentre negli uomini è più evidente l’attivazione di circuiti di controllo nella corteccia prefrontale. Non si tratta di un migliore o peggiore modo di sentire, ma di strategie differenti di elaborazione.
Dal punto di vista psicologico, fattori come ansia, ipervigilanza e tendenza al catastrofismo possono amplificare il dolore; al contrario, la percezione di auto-efficacia e buone strategie di coping lo attenuano. Le norme sociali modellano inoltre l’espressione: in molte culture lo stoicismo maschile è valorizzato, mentre alle donne è spesso concesso mostrare disagio. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è che stress e condizioni ambientali amplificano questi effetti.
In definitiva, la risposta al dolore è il risultato dell’interazione tra biologia, cervello, psiche e contesto culturale. Parlare di dolore in modo informato, adottare strategie di gestione e cercare supporto qualificato rimane la strada più efficace per ridurne l’impatto nella vita quotidiana. Un ultimo elemento concreto: in diversi ambiti clinici in Italia e nel Nord Europa i professionisti tengono sempre più conto di queste differenze quando impostano terapie e percorsi di cura.
