Un disegno di legge in discussione introduce congedi retribuiti per assistere gli animali domestici, tra malattia, cure veterinarie e lutto.
Nel 2018 la Cassazione aveva già aperto uno spiraglio, riconoscendo la possibilità di concedere permessi retribuiti a chi doveva affrontare emergenze sanitarie del proprio cane o gatto. Oggi, la questione è tornata d’attualità con una proposta di legge che potrebbe introdurre regole chiare e valide in tutta Italia. Il tema riflette un cambiamento sociale: gli animali da compagnia non sono più considerati semplici beni, ma parte integrante della famiglia.
Cosa prevede la sentenza e come funziona la proposta di legge
La sentenza n. 15076 del 2018 della Corte di Cassazione ha equiparato, in alcuni casi, l’assistenza agli animali domestici a quella dei familiari malati. Secondo i giudici, rientrano tra i “gravi motivi personali e familiari” anche le urgenze veterinarie, purché supportate da certificazione e dall’assenza di altre persone che possano occuparsi dell’animale. In simili circostanze, il datore di lavoro deve concedere il permesso, evitando così al dipendente il rischio di incorrere nel reato di abbandono.

Da quella pronuncia è nato un dibattito politico che ha portato alla presentazione di una proposta di legge. Il testo, attualmente in esame, stabilisce fino a tre giorni di congedo retribuito in caso di morte del proprio animale e un monte ore annuale di otto ore per malattie improvvise o cure veterinarie urgenti. Le nuove norme interesserebbero solo cani e gatti, poiché sono gli unici animali con obbligo di microchip e iscrizione all’anagrafe nazionale.
La ratio della proposta non è solo etica ma anche pratica. Diversi studi hanno dimostrato che la malattia o la perdita di un animale domestico possono causare stress, ansia e un calo di produttività paragonabile a un lutto familiare. Dare la possibilità al lavoratore di assentarsi con regole definite significherebbe prevenire ricadute psicologiche e, indirettamente, garantire maggiore sicurezza negli ambienti di lavoro.
Implicazioni sociali e impatto sul mondo del lavoro
L’introduzione dei permessi retribuiti per gli animali segnerebbe un punto di svolta nel concetto di work-life balance. In Italia ci sono milioni di cani e gatti registrati e, secondo i dati più recenti, quasi una famiglia su due convive con un animale domestico. Il riconoscimento di un diritto a occuparsi di loro in momenti critici rafforzerebbe il legame tra lavoro e vita privata, colmando un vuoto normativo che fino ad oggi era coperto solo dalla giurisprudenza.
Molti datori di lavoro temono che una simile misura possa aumentare le assenze, ma i dati mostrano che i benefici in termini di benessere psichico e produttività potrebbero essere maggiori dei costi. Un dipendente che non è costretto a scegliere tra il posto di lavoro e la cura del proprio animale è meno stressato e più motivato.
C’è anche un aspetto culturale: riconoscere il valore degli animali significa ammettere che fanno parte del nucleo affettivo di una persona, non solo un possesso. Non a caso, in altri paesi europei si discutono da anni norme simili e alcune aziende hanno già introdotto volontariamente benefit dedicati ai pet.
Il dibattito politico resta aperto, ma la direzione è chiara. Sempre più italiani considerano il cane o il gatto come un membro della famiglia e la legge sembra pronta a riconoscere questa realtà, con un passo che potrebbe incidere profondamente sulle relazioni di lavoro e sulla vita quotidiana dei cittadini.