I 473 miliardi invisibili: il lavoro di cura che vale un tesoro, ma resta fuori dal calcolo ufficiale del PIL

I 473 miliardi invisibili il lavoro di cura che vale un tesoro, ma resta fuori dal calcolo ufficiale del PIL (2)

Luca Antonelli

Ottobre 5, 2025

Ore dedicate ad assistenza e cura familiare valgono quanto un settore industriale, ma l’Italia non le registra nel calcolo della ricchezza prodotta.

In Italia il lavoro di cura non retribuito, cioè le attività quotidiane svolte dentro le mura domestiche e per la famiglia, ha un valore stimato di 473 miliardi di euro l’anno. Nonostante il peso enorme, questo comparto non trova spazio nelle voci ufficiali del Pil. La questione, spesso confinata in ambito accademico, è stata riportata al centro del dibattito da diversi studi nazionali ed europei che hanno sottolineato come il tempo speso per accudire bambini, anziani o persone fragili corrisponda a un settore economico a sé stante, che però non viene riconosciuto come tale. Eppure, senza queste ore invisibili, il funzionamento del sistema sociale ed economico si fermerebbe.

Quanto vale davvero il lavoro di cura in Italia

Secondo le ultime rilevazioni di Istat, il valore del lavoro familiare raggiunge circa un quarto del Pil nazionale. Si tratta di un volume che supera comparti centrali come l’industria manifatturiera o il turismo, e che riguarda in modo particolare le donne. Nel dettaglio, il 70% delle ore di assistenza e cura domestica viene ancora oggi svolto dal genere femminile, con effetti diretti sull’occupazione e sulla carriera lavorativa. Lo sappiamo: ore passate tra bambini, pasti, pulizie, anziani e disabili non si vedono nelle buste paga, ma hanno un valore monetario calcolabile.

I 473 miliardi invisibili il lavoro di cura che vale un tesoro, ma resta fuori dal calcolo ufficiale del PIL (1)
I governi progettano piani e riforme basati su un quadro economico incompleto. – www.pollnet.it

Il riferimento a 473 miliardi non è solo un dato statistico: equivale al fatturato di un comparto industriale medio-grande, con la differenza che non circola nelle contabilità ufficiali e non produce gettito fiscale. È un valore “ombra” che sostiene ogni giorno la società, garantendo servizi di fatto equivalenti a quelli erogati dal settore pubblico o dal privato. Non a caso, diverse ricerche europee segnalano come la mancata inclusione di questa quota nel calcolo del Pil porti a sottostimare la vera ricchezza del Paese e a ignorare milioni di ore di lavoro essenziali.

A Milano, durante un convegno promosso a settembre 2025, economisti e rappresentanti del terzo settore hanno ribadito la necessità di inserire almeno una quota di queste attività nelle statistiche ufficiali. La proposta, sostenuta anche da una parte del Parlamento, mira a ridare visibilità a chi ogni giorno svolge un lavoro fondamentale ma invisibile.

Impatti su diritti, politiche e sistema economico

Il nodo non riguarda solo le cifre ma anche i diritti sociali. Il lavoro domestico non retribuito, privo di riconoscimento economico, non dà accesso a contributi previdenziali, pensioni o tutele in caso di malattia. Per molte persone, in particolare donne tra i 30 e i 55 anni, questo significa restare fuori dal sistema delle garanzie sociali pur dedicando la maggior parte del tempo ad attività fondamentali. È un vuoto che si traduce in disparità di genere, precarietà futura e mancanza di protezioni reali.

Dal punto di vista delle politiche pubbliche, la mancata contabilizzazione di queste attività nel Pil genera un effetto diretto: i governi progettano piani e riforme basati su un quadro economico incompleto. Se quelle ore fossero inserite, il peso statistico cambierebbe anche la percezione del Paese, influenzando indicatori chiave come la produttività e il reddito pro capite. Alcuni paesi hanno avviato sperimentazioni, elaborando conti satellite che affiancano al Pil tradizionale una stima del lavoro non retribuito. In Italia, il dibattito resta aperto, con l’ipotesi di introdurre una misurazione parallela che dia voce a questa fetta di economia invisibile.

Sul piano sociale, il tema assume un rilievo ancora maggiore. Con l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dei bisogni di assistenza, il tempo dedicato alla cura tenderà a crescere nei prossimi anni. Già oggi, secondo le proiezioni demografiche, entro il 2030 oltre un terzo degli italiani avrà più di 65 anni. Questo comporterà una pressione ancora più forte sulle famiglie, se non verranno potenziati i servizi pubblici e privati di sostegno. Il rischio è che la quota di lavoro non retribuito, pur aumentando, resti invisibile, con conseguenze su equilibri economici e sociali.