Quando i soldi passano tra familiari, non sempre valgono le stesse regole dei debiti bancari. Dalla solidarietà tra coniugi al mantenimento dei figli, la giurisprudenza chiarisce quando sorge il vero obbligo di restituzione.
In Italia capita spesso che, in un momento di difficoltà o per affrontare una spesa imprevista, ci si rivolga a un familiare piuttosto che a una banca. È una scelta naturale, che nasce dalla fiducia reciproca e dal desiderio di evitare gli interessi e le rigidità degli istituti di credito. Eppure, dietro a questi gesti di sostegno si nasconde una questione delicata: il denaro ricevuto da un parente è un vero prestito da restituire, oppure rientra nella solidarietà familiare e non genera un obbligo giuridico di rimborso?
La risposta non è sempre immediata. L’articolo 2740 del codice civile stabilisce che ogni debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i beni, presenti e futuri. In teoria, non ci sarebbe differenza tra un debito verso una banca e un debito verso un parente. La pratica, però, è diversa, perché i tribunali hanno riconosciuto che nei rapporti familiari entrano in gioco regole specifiche legate agli obblighi di assistenza e mantenimento.
Prestiti tra coniugi: tra dovere di assistenza e accordi scritti
Una delle situazioni più frequenti è quella dei coniugi. Non è raro che marito e moglie si prestino somme di denaro, talvolta anche consistenti. In questi casi, la regola generale stabilita dalla giurisprudenza è chiara: le somme scambiate tra coniugi sono considerate espressione dell’obbligo di solidarietà e quindi, in linea di massima, non devono essere restituite.
La Cassazione con la sentenza n. 11766 del 2018 ha ribadito che la restituzione può essere pretesa soltanto se il coniuge creditore dimostra che il denaro non era destinato al sostegno della vita familiare. In altre parole, se una moglie utilizza il proprio conto personale per fornire al marito una somma rilevante, con finalità che esulano dalle spese domestiche o dagli impegni comuni, può pretendere la restituzione.

Il discorso cambia in modo ancora più evidente quando le parti redigono una scrittura privata. Un accordo scritto, che specifichi chiaramente la natura del trasferimento di denaro, costituisce titolo valido per chiedere il rimborso, come confermato anche dalla Cassazione con una decisione del 2012.
Un ruolo centrale è giocato anche dal regime patrimoniale scelto al momento del matrimonio. In comunione dei beni, la distinzione tra denaro personale e patrimonio comune rende più difficile rivendicare la restituzione, perché le risorse tendono a confluire in un unico patrimonio. Invece, nel regime di separazione dei beni, se il prestito viene erogato con fondi personali, la restituzione diventa un vero e proprio obbligo.
In definitiva, i prestiti tra coniugi non sono equiparabili a quelli bancari: occorre distinguere tra aiuto familiare e prestito formale, valutando caso per caso le prove e le circostanze.
Genitori, figli e altri parenti: dove finisce il mantenimento e inizia il debito
Il tema diventa ancora più delicato se si guarda ai rapporti tra genitori e figli. Se il denaro viene erogato a un figlio minorenne, non può mai configurarsi come prestito: rientra infatti nell’obbligo di mantenimento che la legge impone ai genitori. Nessuna restituzione è quindi possibile o giuridicamente fondata.
Diverso è il discorso per i figli maggiorenni. Una volta cessato l’obbligo legale di mantenimento, i soldi dati dai genitori possono configurarsi come un prestito vero e proprio. In questi casi, i genitori hanno diritto di chiedere la restituzione, e se necessario possono persino rivolgersi al giudice per far valere le proprie ragioni. Anche qui, la prova è fondamentale: un accordo scritto o altre evidenze concrete rendono la pretesa più solida.
E per quanto riguarda gli altri parenti, come fratelli, sorelle, zii o nonni? In questo scenario non esistono eccezioni legate al mantenimento o alla solidarietà familiare obbligatoria. Un prestito tra parenti “non diretti” è trattato dal diritto come qualsiasi altra obbligazione. Chi presta ha pieno titolo per chiedere la restituzione, e può arrivare ad azioni esecutive come il pignoramento se il debitore non adempie.
Va ricordato che, anche nei rapporti tra parenti, la prova dell’avvenuto prestito rimane essenziale. Se mancano scritture private, bonifici o altre tracce documentali, diventa più difficile dimostrare la natura del trasferimento. In questi casi, il confine tra “aiuto familiare” e “prestito” rischia di sfumare, creando contenziosi che finiscono spesso davanti ai giudici.
Il panorama delineato dalla giurisprudenza mostra quindi un approccio equilibrato: da un lato si tutela la solidarietà naturale che caratterizza i rapporti familiari, dall’altro si riconosce il diritto a vedersi restituite somme di denaro quando il trasferimento ha chiaramente la natura di prestito.